Kazuto Takegami nasce in Giappone nel 1970. Dopo la laurea presso la Musashino Art University di Tokyo con specializzazione in pittura ad olio, svolge il lavoro di professore d’arte per alcuni anni. Decide in quel periodo di dedicare la sua vita solamente all’attività di artista. A seguito di alcune mostre personali e collettive in patria nel periodo giovanile, nel 1998 giunge in Italia con la vincita di una borsa di studio presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, città dove poi deciderà di rimanere a vivere e lavorare.
E’ nel contesto italiano ed europeo che perfeziona la tecnica di pittura ad olio e sperimenta altre tecniche come l’affresco, l’incisione e la tempera grassa. La lontananza dal Giappone fa emergere un’inaspettata riscoperta delle proprie origini, portandolo ad avvicinarsi ed approfondire nel corso degli anni alcune tecniche tradizionali dell’estremo oriente, come la pittura ad inchiostro di china Suiboku-ga ed alcune tecniche del Nihon-ga.
Takegami spesso ama “giocare” con l’ignoto. Negli anni crea una tecnica pittorica personale unendo i colori ad olio con l’inchiostro di china ed i pigmenti naturali o il Gofun (colore bianco perlaceo estratto dalla polvere di guscio d’ostrica), in una sovrapposizione di livelli, sfumature e stratificazioni della materia come fossero parte della sua anima. L’attesa richiesta per fissare i vari materiali va ad influire sui flussi creativi, come acque che scorrono e che creano riflessi, onde, cerchi sull’acqua.
Scene di vita quotidiana e dolci paesaggi nascondono fragili complessità, mescolando i ricordi con il presente, tendendo potenzialmente all’eterno. L’arte di Takegami è caratterizzata da tratti semplici ma profondi, frutto di lunghe riflessioni; ci porta oltre l’orizzonte del mare e ci fa godere dell’effimera bellezza di un fiore sbocciato che poi verrà sospinto lontano dal vento.
L’artista ha esposto in mostre personali e collettive specialmente sul territorio italiano, oltre che in Europa ed in Giappone. Dal 2020 diviene socio della Società per le Belle Arti ed Associazione Permanente di Milano.
A PROPOSITO DI TECNICHE E COMPOSIZIONI
Il colore nero ed i toni del grigio rievocano un senso di passato e di ricordo. In molte opere Takegami usa sfumature di tali colori non-colorati. L’inchiostro di china si presta perfettamente a far emergere i momenti nostalgici e di profonda riflessione. Le immagini dipinte ad inchiostro sono come delle istantanee eterne, dei frammenti di vissuto che si incastonano nell’anima. Ritratti di persone, animali da compagnia, ma soprattutto paesaggi sono i soggetti maggiormente raffigurati con queste tonalità. Non solo disegni su carta di riso o di cotone, ma anche tele appositamente trattate sulle quali l’inchiostro viene mescolato ai colori ad olio creando atmosfere suggestive e talvolta malinconiche.
Nello spettatore, i toni di grigio evocano ricordi del proprio vissuto, una sorta di magia che si trasmette dalle riflessioni ed elaborazioni artistiche del pittore, fino ad arrivare all’animo di chi si trova di fronte all’opera.
In varie fasi della produzione artistica di Takegami, il colore fa ingresso su quadri dipinti su tela, talvolta con toni vivaci, altre volte con colori meno accesi o “posati” su strati sottostanti di inchiostro di china, del quale rimangono le tracce di grigio, di ricordo. L’uso dei colori per l’artista ha un significato di rapporto con il presente, di vicinanza alla realtà. Nella maggioranza dei casi, le tonalità vengono create a partire da pochi fondamentali colori che l’artista produce a partire dai pigmenti naturali, sia provenienti dai territori europei, sia dalla sua patria, il Giappone. Mescolando tali pigmenti con resine e leganti, emergono ogni volta colorazioni leggermente diverse tra loro: ogni momento del vissuto ha una sua colorazione irripetibile.
Per Takegami è molto importante che il caso e il destino giochino la loro parte: egli non desidera creare opere con precisione millimetrica, anzi cerca sempre la bellezza dell’imperfezione, dell’ignoto, quel senso di smarrimento che in un dolce paesaggio porta ad un brivido o ad una sensazione di “rischio”. Anche se la scena raffigurata appare come semplice e pacifica, in realtà vuole simulare una caduta, anche in figurata, dopo la quale ci si trova di in una situazione-paesaggio che non avevamo mai visto, mai vissuto. In momenti tristi o difficili, un’opera d’arte può trasmettere un messaggio che non ha un’unica modalità di lettura. Ciascuno è invitato ad interpretare l’opera con la propria chiave, con genuinità ed onestà. Secondo l’artista, anche il paesaggio più semplice trasmette qualcosa, come la linea d’orizzonte dell’oceano che ha per lui un peso enormemente importante, è la sorgente dell’emozione dalla più triste alla più serena. «Mi ci perdo e mi ci ritrovo, è la mia casa».
Verticalmente seguendo con lo sguardo rami ed alberi, orizzontalmente guardando il mare e le onde, possiamo arrivare a toccare il cielo. Questi elementi della natura ci portano a considerare come sacri i nostri spazi vitali e a pensare alla meraviglia e allo stupore nelle cose essenziali e negli affetti che ci circondano. Mare ed alberi sono spesso temi delle opere di Takegami: sono presenze semplici ma nel contempo complesse, trasmettono un senso di ora e sempre, sono al di sopra di noi umani, delle nostre elucubrazioni e dei nostri interventi di antropizzazione.
Nella produzione di Takegami ritroviamo opere dove appaiono persone nel contesto di un paesaggio. Per l’artista, le persone, i visi, le sagome, sono parte del paesaggio e quindi costituiscono un elemento del paesaggio o addirittura, sono paesaggio stesso. Il paesaggio raffigurato è spesso un luogo dell’anima dell’artista ed è potenzialmente ovunque. La persona nell’opera, solitamente in posizione marginale e di spalle, è un essere vivente universale, non per forza una persona specifica, che assapora quello spazio in un momento della sua esistenza in un moto d’animo del suo vissuto, piacevole o triste che sia, di oggi, domani o dei tempi passati.
Per quanto riguarda la composizione delle tele e dei disegni, da sempre Takegami mostra attrazione verso il dittico ed il polittico, scoperti da giovane durante la visita di chiese e musei in Italia ed Europa. A partire dagli anni 2000, egli prova a suddividere un’opera in dittico o polittico, trovandolo uno strumento compositivo estremamente vicino alle sue necessità espressive. Nella sua concezione, dittici e polittici simboleggiano parti distinte di una stessa storia, nella quale l’attenzione dello spettatore abbia la possibilità di posarsi sia sull’insieme dell’opera sia su ogni singola parte. Sebbene tra gli elementi che compongono il complesso dell’opera ci sia un’interruzione di spazio, ciò costituisce un respiro che crea un dialogo, un collante che completa il messaggio nascente dall’unione delle parti.
L’arte di Takegami vuole essere una forma espressiva che, attraverso l’esperienza del singolo, consenta di esprimere un sentito, un vissuto da condividere con le altre persone, diventando in qualche modo universale. Un dolce e amaro abbraccio dell’anima, un ponte tra chi produce e chi gode l’opera, note colorate che fanno vibrare i ricordi, una finestra di stupore e di riflessione sulle fragilità e potenzialità dell’uomo che vive la sua piccola grande vita nel mondo.